Perdita del bonus facciate a causa della mancata consegna dei lavori

Il Tribunale di Roma, con la recente sentenza 13 febbraio 2024, n. 21607, ha stabilito che il danno per la mancata fruizione di detrazioni fiscali, risulta risarcibile qualora, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che senza il negligente adempimento dell’appaltatore il risultato auspicato sarebbe stato conseguito. In tale liquidazione non può non considerarsi che il risarcimento riguarda un danno che non consiste nella lesione di un diritto soggettivo maturato, ma nella lesione di un’aspettativa legittima ad un diritto soggettivo non ancora maturato (sia pure anche per effetto dell’inadempimento dell’appaltatore). Non essendo mai stata ultimata la ristrutturazione della facciata, che dava diritto alla detrazione del 90% invocato, la stessa insorgenza del diritto risulta frustrata; e poiché tale frustrazione è in gran parte addebitabile alla colpevole inadempienza dell’appaltatore, deve essere da questi risarcita la chance (indubbiamente elevatissima) che l’attore avrebbe potuto usufruire di tale bonus qualora l’appaltatore (utilizzando il prestito ponte) avesse ultimato tempestivamente i lavori in modo da consentire al Condominio attore la maturazione del diritto al cospicuo vantaggio fiscale.

Cambiamento in vista per successioni, trust e liberalità.

Il corriere della sera riporta:

in tema di donazione, si legge nella bozza del decreto (secondo le anticipazioni riferite dall’Agi), le modifiche sono principalmente rivolte a uniformare le norme esistenti. Viene inserita la previsione sulla detrazione delle imposte pagate all’estero sulla donazione stessa e in relazione ai beni esistenti. Viene mantenuta sostanzialmente 
inalterata invece la disciplina delle liberalità. Viene previsto che 
l’accertamento delle liberalità indirette può essere effettuato esclusivamente 
quando l’esistenza delle stesse risulti da dichiarazioni rese dall’interessato 
nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi. In questi casi si applica l’aliquota dell’otto per cento. Inoltre viene introdotta l’esclusione da tassazione anche delle liberalità d’uso.
La successione e il trust: così cambiano le regole
In materia di successione la bozza del decreto definisce le regole di territorialità dei trasferimenti derivanti da trust e da altri vincoli di destinazione. Qualora chi dispone il trust sia residente nello Stato al momento della separazione patrimoniale, l’imposta sarà dovuta in relazione a tutti i beni e diritti trasferiti ai beneficiari. Se invece  il disponente non è residente in Italia al momento della separazione patrimoniale, l’imposta sarà dovuta solo sui beni e diritti trasferiti al beneficiario presenti nel territorio dello Stato. Nel caso di trust testamentari il disponente potrà versare il tributo anche in modo volontario e anticipato, al momento del conferimento dei beni ovvero dell’apertura della successione. L’imposta sarà liquidata e versata direttamente dal contribuente, senza attendere la liquidazione e l’invio dell’avviso dell’Agenzia delle entrate. 

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Tende e verande

L’ordinanza della Cassazione, sezione II civile, 7622 del 23 marzo 2024, al di là delle vicende processuali che vi fanno da corollario (per le quali, gli apprezzamenti sul fatto nono sono sindacabili in sede di legittimità), respinge il ricorso presentato dal proprietario della villetta che aveva installato la tenda da sole, richiamando i principi sanciti dell’applicazione della distanza minima di 3 metri prevista dall’articolo 907, terzo comma, Codice civile.

I giudici di merito e di legittimità, nel qual caso, hanno enfatizzato la consistenza dei nuovi volumi generati dalle strutture fisse, unitamente alla tenda scorrevole, poste in prossimità della soglia dei balconi e, come tali, li hanno ritenuti suscettibili di minarne anche la sicurezza del proprietario dell’appartamento sovrastante. Nulla da fare, pertanto, per le tende esterne di nuova generazione, se non c’è consenso preventivo.

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Nullità degli atti di compravendita per mancanza di conformità oggettiva dell’immobile

In ordine al requisito della conformità catastale oggettiva dell’immobile va ricordato che, come previsto dall’art. 29, comma 1 bis, della L. 52 del 1985, aggiunto dall’art. 19, comma 14, del D.L. 78/2010 convertito, con modificazioni, nella L. 122/2010, “Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.

Va al riguardo ricordato, in relazione alle conseguenze sul contratto di compravendita immobiliare in ipotesi di accertata mancanza di detto requisito, che in base a condivisa giurisprudenza le indicazioni circa la c.d. conformità catastale oggettiva, prevista a pena di nullità del contratto di trasferimento immobiliare, riguardano l’identificazione catastale del bene, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione o attestazione di conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto (cfr. Cass. 20526/2020, in tema di domanda ex art. 2932 c.c., ma il principio è di portata generale), con la precisazione, ai fini della prevista sanzione della nullità dell’atto, che “in tema di atti notarili, la dichiarazione richiesta dall’art. 19, comma 14, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv. in legge 30 luglio 2010, n. 122, riguarda la conformità allo stato di fatto non della sola planimetria dell’immobile, ma anche dei dati catastali, questi ultimi costituendo gli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene, rilevanti ai fini fiscali; l’omissione determina la nullità assoluta dell’atto, perché la norma ha una finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone la responsabilità disciplinare del notaio, ai sensi dell’art. 28, primo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89” (cfr. Cass. 8611/2014).

Non è sufficiente la mera dichiarazione di conformità delle planimetrie, essendo invece necessaria la dichiarazione di conformità catastale (cfr. Cass. 21828/2019: “La dichiarazione di conformità dell’immobile ai dati catastali ex art. 29, comma 1-bis, della l. n. 52 del 1985, non può essere surrogata dalla mera dichiarazione di conformità delle planimetrie, sicché il notaio che redige l’atto senza inserire la dichiarazione di conformità catastale incorre in una nullità ex art. 28 della l. notarile”).

La dichiarazione riguarda la conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, nel senso, cioè, che la suddetta dichiarazione delle parti intestatarie deve riguardare tanto i dati catastali quanto le planimetrie (cfr. Cass. 39403/2021 in motivazione: “… l’onere dichiarativo posto a carico degli intestatari dell’atto non può certamente ritenersi assolto tramite la dichiarazione di conformità allo stato di fatto della sola planimetria catastale depositata, posto che la planimetria non può sopperire alla mancanza della dichiarazione di conformità allo stato di fatto dell’immobile anche del distinto requisito richiesto dalla norma e rappresentato dai dati catastali, soltanto questi ultimi costituendo gli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali dell’immobile rilevanti ai fini fiscali. In altri termini, in tema di atti notarili, la dichiarazione richiesta dall’art. 29, comma 1-bis, riguarda la conformità allo stato di fatto non della sola planimetria dell’immobile, ma anche dei dati catastali, questi ultimi costituendo gli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene, rilevanti ai fini fiscali; l’omissione determina la nullità assoluta dell’atto, perché la norma ha una finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone la responsabilità disciplinare del notaio, ai sensi dell’art. 28 della legge notarile (Cass., n. 8611 del 2014, cit.; Cass., Sez. II, 11 ottobre 2016, n. 20465; Cass., Sez. II, 29 agosto 2019, n. 21828; Cass., Sez. II, 31 luglio 2020, n. 16519). Dunque, la dichiarazione di conformità ha come termini di riferimento sia la planimetria sia i dati catastali. La mancata dichiarazione di conformità di questi ultimi con lo stato di fatto determina la nullità dell’atto. La dichiarazione in questione deve attestare anche che i dati catastali, rilevanti ai fini della determinazione della rendita catastale, siano conformi allo stato di fatto dell’immobile …”).

Pertanto, la conformità catastale oggettiva, pena la nullità dell’atto, riguarda tanto la rispondenza dei dati identificativi catastali quanto l’identificazione della planimetria catastale riferita all’immobile oggetto di compravendita e la conformità dello stato di fatto immobile alle planimetrie: si tratta degli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene, rilevanti ai fini fiscali.

A livello normativo, con riferimento invece alla seconda prospettata ipotesi di nullità, va ricordato che l’art. 40 L. 47/1985 del 28/2/1985 (recante ‘Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni amministrative e penali’) prevede, per quanto di interesse, che “Gli atti tra vivi aventi per oggetto diritti reali, esclusi quelli di costituzione, modificazione ed estinzione di diritti di garanzia o di servitù, relativi ad edifici o loro parti, sono nulli e non possono essere rogati se da essi non risultano, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della licenza o della concessione ad edificare o della concessione rilasciata in sanatoria ai sensi dell’articolo 31 ovvero se agli stessi non viene allegata la copia per il richiedente della relativa domanda, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione, ovvero copia autentica di uno degli esemplari della domanda medesima, munita degli estremi dell’avvenuta presentazione e non siano indicati gli estremi dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione di cui al sesto comma dell’articolo 35. Per le opere iniziate anteriormente al 1° settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l’opera risulti iniziata in data anteriore al 1° settembre 1967. Tale dichiarazione può essere ricevuta e inserita nello stesso atto, ovvero in documento separato da allegarsi all’atto medesimo. …” (comma 2) e che “Se la mancanza delle dichiarazioni o dei documenti, rispettivamente da indicarsi o da allegarsi, non sia dipesa dall’insussistenza della licenza o della concessione o dalla inesistenza della domanda di concessione in sanatoria al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, ovvero dal fatto che la costruzione sia stata iniziata successivamente al 1° settembre 1967, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa o al quale siano allegate la dichiarazione sostitutiva di atto notorio o la copia della domanda indicate al comma precedente” (comma 3).

La medesima disciplina si ritrova sostanzialmente nell’art. 46 del DPR 380/2001 del 6/6/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), che non ha abrogato il citato art. 40 L. 47/1985 e che prevede, in merito alla ‘nullità degli atti giuridici relativi ad edifici la cui costruzione abusiva sia iniziata dopo il 17 marzo 1985’, che “Gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione è iniziata dopo il 17 marzo 1985, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria. Tali disposizioni non si applicano agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia o di servitù” (comma 1); “La sentenza che accerta la nullità degli atti di cui al comma 1 non pregiudica i diritti di garanzia o di servitù acquisiti in base ad un atto iscritto o trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda diretta a far accertare la nullità degli atti” (comma 3); “Se la mancata indicazione in atto degli estremi non sia dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati, essi possono essere confermati anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga la menzione omessa ” (comma 4) e che “Le nullità di cui al presente articolo non si applicano agli atti derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali. L’aggiudicatario, qualora l’immobile si trovi nelle condizioni previste per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, dovrà presentare domanda di permesso in sanatoria entro centoventi giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria” (comma 5).

Alla luce della più risalente disposizione (citato art. 40 L. 47/1985), da applicare al caso di specie, si può quindi affermare che è vietato, essendo colpito da nullità il relativo atto, il trasferimento di beni immobili, che siano stati costruiti senza un valido titolo abilitativo (permesso di costruire, concessione edilizia, licenza, e così via).

La questione di fondo, su cui si articolava il dibattito dottrinario e la pratica giurisprudenziale, riguardava la portata della sanzione della nullità e se la relativa normativa dovesse essere interpretata, in parte qua, in senso sostanziale o in senso testuale.

In data successiva all’introduzione del presente giudizio (2017), l’orientamento si è affermato e consolidato nel senso della configurabilità di una nullità testuale, alla luce dell’art. 1418, comma 3, c.c..

Al riguardo, sostanzialmente parificando le due discipline normative invero similari, è stato affermato che “la nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della l. n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art. 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato” (cfr. Cass. SU 8230/2019).

Si tratta di orientamento, espresso dal massimo organo di legittimità, che ha trovato ulteriore conferma con la successiva Cass. 538/2020, così che è possibile ritenere superato il diverso orientamento giurisprudenziale c.d. sostanzialista, che ricollegava l’invalidità del contratto al profilo sostanziale della conformità del bene allo strumento concessorio menzionato nell’atto di trasferimento, richiamato, p.es., da Cass. 2359/2013, Cass. 25811/2014 e Cass. 18261/2015; quindi il contratto è e rimane valido per il solo fatto che sia stato ivi menzionato il provvedimento autorizzativo, rilasciato con riferimento a quel determinato immobile, e, per gli immobili edificati prima del 1° settembre 1967, per il solo fatto che vi sia la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante tale circostanza.

Trattandosi di una nullità testuale (art. 1418, comma 3, c.c.), la stessa è pertanto configurabile solo se e in quanto negli atti tra vivi, con i quali vengano trasferiti diritti reali su immobili, non sia stata riportata l’indicazione degli estremi della concessione edilizia dell’immobile oggetto di compravendita ovvero degli estremi della domanda di concessione in sanatoria ovvero ancora, per gli immobili la cui costruzione sia anteriore all’1/9/1967, non vi sia la dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante detta circostanza. Viceversa è da escludere qualsiasi accertamento in relazione alla regolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico ossia qualsiasi accertamento in ordine alla conformità o meno della realizzazione edilizia rispetto alla licenza o alla concessione.

Responsabilità notarile per le visure urbanistiche

Il Tribunale di Roma, nella sua sentenza numero 16632/2022, confermata dalla sentenza della Corte di Appello di Roma numero 2102/2024, hanno evidenziato come nessuna onere di attivazione o di consiglio può essere ascritto al Notaio in merito ai controlli urbanistici.

Tali oneri non possono essere considerati al pari delle visure ipocatastali in quanto non rinvenibili da pubblici registri ed in quanto per la valutazione delle regolarità urbanistiche necessitano competenze specifiche che non attengono al profilo giuridico.

Per quanto riguarda il convenuto ….., nei confronti del quale -come detto- non è ipotizzabile alcuna responsabilità ex art. 28 L. 89/1913, in quanto il contratto è stato validamente rogato e non ricorre alcuna ipotesi di nullità dello stesso, non emerge alcun profilo di responsabilità da inadempimento contrattuale.

Al riguardo va ricordato che rientra tra gli obblighi del notaio, in sede di stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare, lo svolgimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e quindi anche il compimento delle cosiddette ‘visure’ catastali e ipotecarie allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, salvo espresso esonero del notaio da tale attività per concorde volontà delle parti, dettata da motivi di urgenza o da altre ragioni (cfr. Cass. 13825/2004).

Dunque il notaio deve farsi carico anche di detta attività di verifica catastale e ipotecaria, volta ad accertare la condizione giuridica e il valore dell’immobile oggetto del contratto, attività distinta dalla normale indagine giuridica occorrente per la stipulazione dell’atto.

Peraltro, operata la distinzione fra i profili ipocatastali rispetto a quelli più propriamente urbanistici, atteso che questi ultimi presuppongono competenze specifiche e che gli stessi non sarebbero esaminabili e risolvibili sulla base del mero controllo di pubblici registri accessibili ai notai, come nel primo caso, va ricordato che sicuramente, in base a consolidato orientamento, non pare possibile ipotizzare, salvo specifico incarico conferito al notaio, un onere di attivazione e di consiglio che vada oltre il riscontro e la valutazione di dati oggettivi desumibili da pubblici registri.

E’ ben vero che ultimamente si è registrata una dilatazione degli obblighi a carico del notaio, ricondotti nella disciplina delle clausole di buona fede e correttezza nell’adempimento della prestazione professionale, ma è evidente che ciò può attenere a profili tecnico-giuridici, rientranti nello specifico ‘profilo’ professionale del notaio, ma non può estendersi fino a ricomprendere valutazioni che riguardino p.es. la convenienza del contratto ovvero valutazioni tecniche specialistiche, che involgano altre competenze o richiedano altre specifiche conoscenze professionali (cfr. Cass. 7185/2022; Cass. 21205/2022).

In conclusione, alla luce delle superiori osservazioni e delle risultanze di causa, non è possibile individuare alcun profilo di responsabilità in capo al notaio; risulta così assorbita ogni ulteriore questione sul danno lamentato e sul nesso di causalità.

Impermeabilizzazione di box sottostanti al giardino e/o al camminamento condominiale.

Alcuni condomini erano proprietari di due autorimesse sottostanti rispetto al giardino condominiale e ai camminamenti, le quali erano state interessate da fenomeni di infiltrazione di acque meteoriche provenienti dal soffitto. La sussistenza di infiltrazioni ai danni dei beni di proprietà attrice era stata confermata in fase antecedente rispetto al giudizio. In particolare, dalla documentazione in atti risultava che nel corso del 2021, il Condominio aveva avviato dei lavori di impermeabilizzazione del giardino condominiale, al di sopra delle autorimesse di parte attrice; le infiltrazioni, tuttavia, risultavano ancora presenti ad agosto 2022, come emerso dal verbale di assemblea ordinaria prodotto dall’attrice. In proposito, il CTU individuava la derivazione causale dei danni lamentati di parte attrice derivabile dall’impermeabilizzazione soprastante il camminamento pedonale; in questo modo la riferibilità dello stillicidio era ancora presente al Condominio con esclusione delle parti private dei singoli condomini dell’immobile.

Alla luce di quanto esposto, parte attrice aveva assolto all’onere provante sulla stessa gravante, essendo stati provati sia i danni come dedotti (infiltrazioni e ammaloramenti) sia che questi ultimi trovavano diretta correlazione causale con un bene condominiale (lo strato di impermeabilizzazione soprastante il camminamento pedonale). Sotto ulteriore e contrapposto profilo, il Condominio non aveva dimostrato la sussistenza di “causa fortuito” idoneo a elidere il nesso di causalità come esposto.

In conclusione, secondo il giudicante era sussistente la responsabilità, ex art. 2051 c.c. non essendo stata provata l’esistenza di un fattore alternativo dotato di efficacia causale esclusiva nella produzione dell’evento lesivo, né, d’altra parte, emergeva alcun caso fortuito, la cui esistenza non risultava neanche allegata dal convenuto.

Trattandosi di un’obbligazione di facere, il giudice riconosce come congruo un termine di due mesi per l’avvio delle lavorazioni, stante la necessità di reperire la ditta e organizzare il lavoro. Si perviene quindi alla condanna in forma specifica mediante realizzazione delle opere direttamente da parte del Condominio. Il risarcimento in forma specifica risulta preferibile perché le opere da realizzare interessano un’area condominiale vicina a proprietà di terzi.

© All-In condominio e locazione

Utilizzo e proprietà del condotto fognario.

Con Sentenza 7 febbraio 2024, n. 240, il Tribunale di Ragusa ha stabilito che, nel contesto condominiale, i condotti fognari sono considerati dalla legge parti comuni dell’edificio e sono oggetto di proprietà comune.
In particolare, sulla base di quanto previsto dall’ art. 1102, C.c., ciascun partecipante può servirsi della cosa comune purché:

  • non ne alteri la destinazione;
  • non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

© Allin Condominio e locazione

Condominio: installazione di colonnina per la ricarica autoveicolo

L’installazione delle colonnine di ricarica elettrica in condominio è normata dall’art. 17-quinquies del Decreto legge 83/2012 rubricato “Semplificazione dell’attività edilizia e diritto ai punti di ricarica”, il quale stabilisce che:

Fatto salvo il regime di cui all’articolo 1102 del codice civile, le opere edilizie per l’installazione delle infrastrutture di ricarica elettrica dei veicoli in edifici in condominio sono approvate dall’assemblea di condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall’articolo 1136, secondo comma, del codice civile.

Nel caso in cui la maggioranza richiesta in sede di assemblea non venisse raggiunta, il condomino interessato all’installazione delle colonnine elettriche (così come il gruppo di condòmini interessati), può decidere di procedere all’installazione a proprie spese. Difatti, l’art. 1102 c.c. riconosce a ciascun condomino la possibilità di usare le aree comuni per i propri scopi purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condòmini il pari uso. Se successivamente altri condòmini dovessero cambiare idea, potranno fruire dei vantaggi derivanti dall’innovazione, contribuendo alle spese di esecuzione e manutenzione dell’opera realizzata.

Quindi non può essere vietato ai condomini comproprietari di uno spazio utilizzato per parcheggio dei veicoli l’istallazione a proprie spese di una o più colonnine per la ricarica di veicoli elettrici. L’utilizzo dello spazio, però, non può essere precluso ai restanti condomini se non a seguito di delibera autorizzativa di destinazione del detto spazio ad esclusivo uso dei veicoli elettrici in carica.

La mancata esecuzione dei lavori da parte dell’appaltatore comporta la restituzione al condominio della quota del bonus facciate già corrisposta (Sentenza 2 ottobre 2023, n. 3756, il Tribunale di Torino ).

Nella sentenza in commento, il Tribunale di Torino ha stabilito che, laddove l’inadempimento non derivi da un giustificato motivo, il Committente ha il diritto di recedere dal contratto; diritto di recesso che è stato esercitato dal Condominio attraverso lo strumento della diffida ad adempiere. Qualora siano state versate delle somme per l’esecuzione delle opere pattuite, queste devono esser restituite dalla parte inadempiente, anche nel caso in cui tali somme afferiscano ad un bonus fiscale, come il bonus facciate al 90%. Inoltre, poiché per accedere alla citata agevolazione sono necessari determinati adempimenti i quali comportano dei costi per il Contribuente, il Tribunale ha disposto anche la restituzione delle somme spese per il sostenimento di tali oneri strettamente connessi alla detrazione fiscale in oggetto.

Il Tribunale di Torino ha accolto le doglianze di parte attrice, ritenendo legittimo l’esercizio del diritto di recesso in caso di inadempimento per la mancata esecuzione del contratto da parte della società appaltatrice. In tale prospettiva, il contratto si intende risolto; conseguentemente, viene disposta la restituzione delle somme versate dal Condominio relativamente ai lavori oggetto della scrittura privata fra le parti. Fra di esse vi è anche il 10% del bonus facciate, nonché le altre spese sostenute per avere i requisiti necessari ad accedere alla detrazione fiscale. 

Fonte © All-in condominio e locazione 2023

Lesione di legittima

La nuova Legge di bilancio Apporta delle profonde novità in tema di azione di riduzione per lesione di legittima. La riserva di legittima è uno strumento giuridico secondo il quale il testatore non può disporre interamente del proprio patrimonio, riservandone una quota per gli eredi legittimi.

Prima della riforma

Prima della riforma il soggetto leso dal testatore poteva pretendere la restituzione di un bene trasferito tramite atto donazione inter vivos impugnando il rogito. Tale regime applicato a tutti gli immobili donati creava una difficolta di trasferibilità dello stesso in quanto gli istituti di credito (in forza del citato brocardo) non concedevano finanziamenti in caso di immobile proveniente da donazione. Tale difficoltà nei trasferimenti si concretizzava spesso in una svalutazione del bene.

Dopo la riforma

La riforma prevede che il soggetto leso nel proprio diritto di legittima possa agire esclusivamente sul patrimonio del soggetto che ha ricevuto la donazione, facendo salvo così i terzi acquirenti e gli istituti di credito che concedono i finanziamenti.

Ma a questo punto cosa succede se il soggetto che ha venduto il bene si rende insolvente. Unico risultato al momento prevedibile è che il soggetto leso rimane tale finchè il ledente non acquisisca la capacità contributiva di risarcire la lesione.

Esempio:

Il signor Pippo è proprietario di un unico immobile sito in Topolinia. Prima della morte il signor Pippo (padre del signor Topolino e della signora Minni) dona un immobile di sua proprietà al figlio Topolino. Questi pensa di vendere l’immobile e si rivolge al signor Manetta per vendergli il bene a lui donato. Manetta acquista l’immobile. Muore il signor Pippo lasciando i figli eredi e nessun cespite da dividere. La signora Minni va dal fratello chiedendo di essere risarcita della lesione della quota di legittima (un terzo del valore dell’immobile in Topolinia). Non ricevendo risposta positiva si rivolge al Tribunale di Topolinia chiedendo l’annullamento sia dell’atto di cessione tra Manetta e Topolino sia della donazione di Pippo.

Prima della riforma il Tribunale avrebbe annullato l’atto e ripristinato l’asse ereditario leso. Al signor Manetta sarebbe rimasta l’azione per la restituzione delle somme incassate da Pippo a seguito della vendita.

Dopo la riforma Il Tribunale dichiarerà salvo il terzo (e con esso l’atto di donazione) e per gli effetti dichiarerà il signor Topolino creditore della signora Minni per la metà del valore incassato dalla vendita. La signora Minni dovrà quindi agire nei confronti del fratello Topolino per avere detta somma.