Nessun rimprovero può essere mosso al tribunale italiano che ha deciso sull’affidamento di un minore: esclusa la violazione della CEDU

Pronunciandosi su un caso “italiano” in cui si discuteva della tempestività con cui l’autorità giudiziaria italiana aveva deciso su un caso di affidamento di un minore, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato, all’unanimità, irricevibile il ricorso. Il caso riguardava, in particolare, una procedura per l’assistenza all’infanzia tra genitori
di diverse nazionalità (italiano e rumeno). Nel 2009 la moglie del ricorrente aveva avviato un procedimento di divorzio e ha chiesto l’affidamento del figlio davanti ai tribunali rumeni, mentre un procedimento di separazione ed affidamento, presentato dal ricorrente nel 2007, era già pendente dinanzi ai tribunali italiani. Il tribunale rumeno aveva dichiarato il divorzio, concedendo l’affidamento del figlio alla madre nel 2012, mentre il tribunale italiano aveva disposto l’affidamento del figlio al padre nel 2013. Il ricorrente sosteneva che i tribunali italiani non avessero agito diligentemente a causa del fatto che il procedimento era durato sei anni, lamentando una violazione del suo diritto garantito dall’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione. La Corte di Strasburgo ha diversamente ritenuto che la decisione sull’affidamento del minore fosse stata assunta tempestivamente, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla norma convenzionale che tutela il diritto alla vita familiare. I giudici europei hanno quindi concluso che le autorità italiane avevano agito con la dovuta diligenza e avevano assunto tutte le misure che ci si poteva attendere da loro per assicurare che i ricorrenti mantenessero un legame familiare. Ha, tra l’altro, notato la Corte EDU che l’attività processuale svolta da parte del ricorrente e di sua moglie aveva avuto un’influenza decisiva sulla durata complessiva del procedimento e che il ricorrente non aveva esercitato alcuni rimedi. Il ricorso è stato dichiarato pertanto manifestamente infondato ed irricevibile.

Tratto da “Il quotidiano giuridico WK”

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