Responsabilità del proprietario di un animale

Il fatto

Innanzi all’adito Tribunale di Milano l’attore chiede di essere risarcito dei danni (alla persona) riportati a seguito di un incidente a lui occorso a causa di un cane di grossa taglia che, sfuggito al controllo del suo padrone per rincorrere un gatto randagio, colpiva la scala in cima alla quale egli attore si trovava per eseguire dei lavori all’esterno del suo appartamento così rovinando violentemente in terra.

La decisione del Tribunale di Milano

La vicenda, come innanzi brevemente descritta, è ricondotta dal Giudice di Milano nell’alveo della norma di cui all’art. 2052 c.c. che, nel disciplinare i danni cagionati da animali, contempla una ipotesi di responsabilità oggettiva per liberarsi dalla quale sul convenuto grava l’onere di provare il caso fortuito.

La disposizione codicistica in esame pone, invero, una responsabilità che si fonda non già su un comportamento o un’attività commissiva o omissiva del proprietario dell’animale (o di chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso) bensì su una relazione (di proprietà o di uso che impone la custodia e la sorveglianza) intercorrente tra i predetti soggetti e l’animale.

Con la precisazione che: «ai sensi dell’art. 2052 c.c., la responsabilità del proprietario dell’animale è alternativa rispetto a quella del soggetto che ha in uso il medesimo (sentenze 9 dicembre 1992, n. 13016; 12 settembre 2000, n. 12025, e 7 luglio 2010, n. 16023)» (Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2014, n. 2414; App. Campobasso, 25 luglio 2017).

La norma poi, quale limite di tale responsabilità, prevede l’intervento di un fattore («il caso fortuito») che attiene non ad un comportamento del responsabile ma alle modalità di causazione del danno: la rilevanza del fortuito deve essere cioè apprezzata sotto il profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre ad un elemento esterno, anziché all’animale che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi (Cass. civ. sez. III, 20 maggio 2016, n. 10402).

Spetta quindi all’attore provare l’esistenza del rapporto eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento dannoso secundum o contra naturam, comprendendosi, in tale concetto, qualsiasi atto o moto dell’animale quod sensu caret, mentre il convenuto, da parte sua, per liberarsi dalla responsabilità, deve provare – come anticipato – non già di essere esente da colpa o di aver usato la comune diligenza e prudenza nella custodia dell’animale, bensì l’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.

Pertanto, se la prova liberatoria richiesta dalla norma – che può anche consistere nel comportamento del danneggiato, che per assurgere a fattore esterno idoneo a cagionare il danno deve avere i caratteri della imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità (caso fortuito incidente che assorba l’intero rapporto causale), ovvero della condotta colposa, specifica o generica (caso fortuito concorrente con il comportamento dell’animale nella produzione eziologica dell’evento dannoso) – non viene fornita, del danno risponde il proprietario (o l’utilizzatore) dell’animale, essendo irrilevante che il comportamento dannoso di questo sia stato causato da suoi impulsi interni imprevedibili o inevitabili (Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2016, n. 12392).

Si è osservato in giurisprudenza:

– «nella norma dell’art. 2052 c.c. il comportamento che assume rilevanza causale è certamente quello dell’animale, atteso che la norma riferisce il “cagionare il danno” all’animale e, dunque, sottende che esso debba causalmente ricollegarsi al comportamento dello stesso. Se tale collegamento causale sussiste, il danno cagionato dall’animale viene imputato al proprietario o a chi se ne serve, sia che l’animale fosse sotto la sua custodia (…) sia che fosse sfuggito o smarrito, incombendo su di lui per sottrarsi all’imputazione della responsabilità la prova del caso fortuito» (Cass. civ., sez. III, ordinanza, 29 agosto 2019, n. 21772);

– «è vero che l’art. 2052 c.c., configura una responsabilità oggettiva a carico del proprietario o dell’utilizzatore dell’animale, e che il danneggiato deve limitarsi a provare il nesso eziologico tra il comportamento dell’animale e il danno, incombendo sul danneggiante la prova del fortuito ma è altresì vero che, in mancanza di un fattore esterno idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, comprensivo del fatto del terzo o del fatto colposo del danneggiato, la responsabilità resta imputata a chi si trova in relazione con l’animale perchè ne è proprietario o perchè ha comunque un rapporto di custodia sul medesimo» (Cass. civ. sez. III, 19 luglio 2019, n. 19506).

Una delle ipotesi di maggiore ricorrenza, quanto all’applicabilità della disposizione in esame, è quella dei danni subiti a seguito dell’attività di equitazione (notoriamente annoverata tra le attività pericolose ex art. 2050 c.c.) avendo la giurisprudenza precisato, di recente, che, se il cavallerizzo è esperto, la medesima attività rientra nello schema ex art. 2052 c.c. (Cass. civ. sez. III, ordinanza, 8 marzo 2019, n. 6737).

Altro tema è quello del danno cagionato dalla fauna selvatica o dagli animali randagi (si pensi soprattutto al danno ai veicoli in circolazione). Si tratta di ipotesi non risarcibili né dall’art. 2052 c.c., né per eadem ratio dall’art. 2051 c.c., che non possono applicarsi a tali animali giacché il loro stato di libertà è incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia (da parte della P.A.); troverà quindi applicazione l’art. 2043 c.c. così richiedendosi, in tema di onere della prova, l’individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all’ente pubblico (ex multisCass. civ. sez. III, 20 novembre 2009, n. 24547Cass. civ. sez. III, 21 novembre 2008, n. 27673Cass. civ. sez. III, 25 marzo 2006, n. 7080Cass. civ. sez. III, 13 gennaio 2009, n. 467Cass. civ. sez. III, 24 aprile 2014; n. 9276Cass. civ. sez. III, 4 marzo 2010; n. 5202Cass. civ. sez. III, 21 novembre 2017, n. 27543Cass. civ. sez. VI – 3, ord., 29 maggio 2018, n. 13488).

In la senso da ultimo si veda Cass. civ. sez. III, ord., 27 febbraio 2019, n. 5722 secondo cui, espressamente: «La gestione della fauna assegnata alla regione (alla stregua della L. n. 157 del 1992 che all’art. 26 prevede la costituzione di fondo per il risarcimento dei danni alle coltivazioni cagionati dalla detta fauna), non comporta … che qualunque danno cagionato da essa sia addebitabile all’ente territoriale preposto, occorrendo l’allegazione, o quantomeno la specifica indicazione, di una condotta omissiva efficiente sul piano della presumibile sua ricollegabilità al danno ricevuto (quale la anomala incontrollata presenza di molti animali selvatici sul posto – l’esistenza di fonti incontrollate di richiamo di detta selvaggina verso la sede stradale – la mancata adozione di tecniche di captazione degli animali verso le aree boscose e lontane da strade e agglomerati urbani etc., v. Cass. sez. I, sentenza n. 9276 del 24/04/2014)».

Infine, nel caso di danno derivante da un incidente stradale (precisamente dall’urto tra un veicolo e un animale) la presunzione di colpa a carico del proprietario – o dell’utilizzatore – dell’animale (ex art. 2052 c.c.) concorre con la presunzione di colpa a carico del conducente del veicolo ex art. 2054, 1 comma 1, c.c., in quanto tale ultima norma esprime principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che subiscono danni dalla circolazione.

Riferimenti normativi:

Art. 2052 c.c.

Art. 2043 c.c.

Art. 2050 c.c.

Art. 2051 c.c.

©Quotidiano WKI ( https://www.quotidianogiuridico.it/documents/2020/06/16/cani-che-inseguono-gatti-e-cadute-rovinose-responsabilita-ed-oneri-probatori )

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