Utilizzo privato del bene comune

Trib. Bergamo 12/07/2023 – n. 1544

La pronuncia in oggetto, oltre a definire il caso di specie ritenendo legittime le modifiche apportate al tetto mediante l’installazione dei pannelli fotovoltaici su una falda, ribadisce le condizioni poste dall’art. 1102 c.c. per servirsi della cosa comune.

Esse si sostanziano nel:

  1. divieto di alterazione della destinazione d’uso;
  2. consentire, comunque, un uso paritetico del bene da parte degli altri condomini.

Con riferimento al primo requisito, a quanto consta non si riscontrano particolari difficoltà interpretative, dovendosi valutare come sussistente il mancato rispetto del divieto di alterazione laddove le modifiche apportate dal singolo pregiudichino, fino addirittura a renderla impossibile, l’originaria funzione della parte comune. Con riguardo invece al secondo requisito, così come del resto precisato anche dalla giurisprudenza di legittimità richiamata nella stessa sentenza oggetto di commento, è necessario intendere il pari uso in maniera potenziale e non nel senso di assoluta parità in concreto. Diversamente ragionando, infatti, ad ogni partecipante sarebbe vietato un utilizzo più intenso della cosa comune, anche laddove il predetto uso non alterasse e non pregiudicasse, nella sostanza ed in concreto, la possibilità degli altri condomini di servirsene ugualmente e liberamente.

Rispettate allora le condizioni dettate dalla norma, il singolo condomino non è onerato nel chiedere una preventiva autorizzazione assembleare in relazione alle modifiche che intende apportare alla cosa comune per un suo più agevole utilizzo, a condizione che si tratti pur sempre di modifiche ex art. 1102 c.c. e non di innovazioni di cui all’art. 1120 c.c., per le quali è invece sempre necessaria una delibera da parte dell’assemblea condominiale.

Alla luce di quanto esposto è possibile concludere che è diritto di ogni condomino servirsi della cosa comune anche in maniera più intensa rispetto agli altri, nel caso in cui dalle sue modifiche non ne derivi il mutamento della destinazione d’uso del bene e sia comunque consentito il “pari uso” potenziale da parte degli altri partecipanti. Ne deriva pertanto che tale diritto sussiste nella misura in cui non si cagiona una lesiva invadenza degli uguali ed opposti diritti degli altri inquilini, da valutarsi tuttavia in concreto e non in termini di assoluta parità. Al ricorrere dei citati requisiti, il singolo condomino potrà dunque modificare la cosa comune al fine di un suo più comodo utilizzo, senza che ciò debba essere preventivamente autorizzato dall’assemblea. Infatti, la maggioranza assembleare non ha il potere di impedire siffatto uso, potendolo – al massimo – solo disciplinare. Sarà dunque unicamente in presenza di un regolamento condominiale di natura contrattuale approvato all’unanimità che si potrà derogare a quanto disposto dall’art. 1102 c.c. Ne deriva pertanto che, qualora il condominio non sia dotato del predetto strumento negoziale, non potrà contestarsi l’uso più intenso della cosa comune da parte di un singolo condomino se ciò non travalica i confini normativamente stabiliti ma si estrinseca esclusivamente nell’esercizio in concreto di un diritto soggettivo.

Tratto da un articolo della banca dati All-In.

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